Controlli periodici scompenso cardiaco | Ascolta il tuo battito

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Lo scompenso cardiaco, oltre a rappresentare una delle patologie croniche a più alto impatto sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita del paziente, è anche una sfida per i servizi sanitari dei paesi occidentali. A causa del progressivo aumento dei fattori di rischio cardiovascolare e dell’invecchiamento della popolazione, infatti, la prevalenza delle malattie croniche, proprio come lo scompenso cardiaco, sta assumendo un andamento epidemico, anche se i progressi nell’innovazione terapeutica hanno di fatto trasformato queste patologie, un tempo rapidamente letali, in malattie a lunga sopravvivenza che necessitano tuttavia di terapie croniche e regolari controlli.

Sappiamo che la prevalenza dello scompenso cardiaco è in forte crescita e ha raggiunto circa il 2% della popolazione nel mondo occidentale, con un aumento esponenziale con l’avanzare dell’età. La mortalità dei pazienti con scompenso cardiaco, pur se in lieve miglioramento, rimane 6-7 volte più alta che nella popolazione generale di pari età: solo il 35% dei pazienti è vivo a 5 anni dalla prima diagnosi[1].

Lo scompenso cardiaco è, inoltre, una sindrome progressiva, caratterizzata da periodi di cronicità e periodi di riacutizzazione, con insorgenza di nuovi eventi cardiovascolari e gravata, comunque, da un elevato rischio di mortalità. Esso comporta frequenti ri-ospedalizzazioni con riduzione della qualità di vita del paziente, insorgenza di complicanze cardiovascolari ed elevati costi per il nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Solo una diagnosi tempestiva dello scompenso cardiaco può essere in grado di prevenire e rallentare il decorso della malattia. Per rallentare l’evoluzione della malattia, è importante oltre alla diagnosi precoce e la corretta impostazione della terapia farmacologica, anche uno stretto follow-up clinico, che comporti anche la valutazione da parte di un team multidisciplinare composto da diverse figure professionali.

COSA FARE DOPO UN’OSPEDALIZZAZIONE PER EVENTO ACUTO

In Italia, lo scompenso cardiaco è la prima causa di ricovero ospedaliero dopo il parto naturale. Inoltre, il 30% delle ospedalizzazioni è rappresentato da ricoveri ripetuti, in costante aumento nel tempo.

Poiché ogni nuovo ricovero si traduce in alterazioni emodinamiche e danni strutturali miocardici, responsabili di un progressivo peggioramento della prognosi, ridurre il numero delle ri-ospedalizzazioni rappresenta un obiettivo primario che potrebbe da solo consentire significativi miglioramenti della sopravvivenza e della qualità di vita del paziente con scompenso cardiaco.

Il ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco dura, in media dai 5 ai 10 giorni. A seguito delle dimissioni, è fondamentale la gestione multidisciplinare del paziente con scompenso, con follow-up strutturati che includano l'educazione del paziente, l'ottimizzazione delle cure mediche, il sostegno psicosociale e un migliore accesso alle cure.

Tutte strategie che contribuiscono a ridurre i rischi di nuove ospedalizzazioni e di mortalità nei pazienti con scompenso dimessi dall'ospedale. I pazienti con scompenso cardiaco sono infatti ad alto rischio di nuovo ricovero, in particolare nel primo mese dopo la dimissione. Quindi il ricovero ospedaliero deve essere indentificato anche come un’opportunità per ottimizzare la terapia per scompenso cardiaco, così come sottolineato anche dalle nuove Linee Guida dell'European Society of Cardiology (ESC) per la diagnosi e il trattamento dell'insufficienza cardiaca (HF) acuta e cronica.

Le nuove Linee Guida sono uno stimolo per i medici che si occupano di scompenso cardiaco per sviluppare dei modelli di implementazione terapeutica personalizzati sulle specifiche esigenze del paziente, anche in considerazione del fatto che implementare la terapia al momento della dimissione aumenta l’aderenza.

Al momento della dimissione ospedaliera, inoltre, è fondamentale dare informazioni chiare a pazienti e caregiver, spiegando anche le ragioni di eventuali modifiche nella terapia, oltre a consegnare la lettera di dimissioni, che i pazienti stessi dovranno poi presentare al medico curante e che rimane il principale strumento informativo tra ospedale e territorio.

Inoltre, definire precise tempistiche per i controlli di follow-up, a partire dal primo appuntamento già fissato al momento della dimissione fino a controlli più a lungo termine, è utile per sensibilizzare i pazienti con scompenso cardiaco, e chi se ne prende cura, a non trascurare il necessario follow-up.

QUANTE VISITE SONO NECESSARIE O CONSIGLIABILI IN UN ANNO

La gestione del paziente con scompenso cardiaco dev’essere sempre personalizzata, tarandola sulle condizioni del singolo in base anche alla presenza di eventuali patologie correlate. In quest’ambito ha quindi un ruolo fondamentale sia la gestione dello specialista della salute del cuore, a cominciare dal cardiologo, ma anche il medico di medicina generale, il quale deve essere formato per riconoscere i segni e i sintomi di uno scompenso cardiaco in tutte le fasi della storia di malattia.

Il contatto con il proprio medico curante dev’essere continuativo, ma è importante ricordare che ogni 3-4 mesi va fatta una visita dal cardiologo, oltre ad effettuare gli esami diagnostici di controllo che verranno prescritti a seconda della propria condizione. Le visite e gli esami diagnostici da fare regolarmente sono tutte prestazioni esenti per “INSUFFICIENZA CARDIACA” (N.Y.H.A. classe III e IV).

SCOMPENSO CARDIACO E APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE: QUALI SPECIALISTI?

Lo scompenso cardiaco è una patologia a gestione integrata che deve comprendere cardiologi, internisti, nefrologi, infermieri specializzati e medico di medicina generale. Il sospetto diagnostico deve essere a carico del medico di medicina generale ma il cardiologo è essenziale sia per un inquadramento diagnostico iniziale e preciso e poi in follow-up.

Lo scompenso cardiaco è anche definito come la ‘sindrome cardio-geriatrica del XXI secolo’, pertanto nella gestione dei pazienti anziani gioca un ruolo importante anche il geriatra. La gestione dello scompenso cardiaco nel paziente anziano è, infatti, resa più difficoltosa dalla presenza di polipatologia e polifarmacoterapia, condizioni tipiche dell’età avanzata che portano anche ad una maggior mortalità rispetto a pazienti più giovani.

A cura del Prof. Ciro Indolfi, Direttore del dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell'Università Magna Grecia di Catanzaro e Presidente Società Italiana di Cardiologia.

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  1. “La personalizzazione del follow-up nel paziente con scompenso cardiaco cronico: è giunto il momento di parlarne” M. Senni, Alessandro Filippi – G. Italiano di Cardiologia 2010.